Le prove dell´avanguardia.
Documenti di Mondrian, Malevic, Sklovskij, van Doesburg, Schwitters, Hausmann, Jorn

Paola Ferraris

 

In breve: soltanto apparentemente la storia della cultura rappresenta un balzo in avanti nella comprensione, e nemmeno apparentemente un balzo in avanti nella dialettica. Ciò che le manca è il momento distruttivo (…). La soluzione di questo problema rimane riservata a una scienza della storia che non abbia più come oggetto un groviglio di puri dati di fatto, bensì quel gruppo definito di fili che rappresenta la trama di un passato nell'ordito del presente. (…) L'oggetto storico, sottratto alla pura fatticità, non richiede alcun apprezzamento. Esso non propone infatti vaghe analogie con l'attualità, bensì si costituisce nel preciso compito dialettico che l'attualità è chiamata ad assolvere.
Walter Benjamin, 1937i


Noi attraversiamo adesso questo paesaggio devastato dalla guerra che una società fa contro se stessa, contro le proprie possibilità. (…) La causa più vera della guerra, di cui sono state date tante spiegazioni fallaci, è ch'essa doveva inevitabilmente arrivare come uno scontro sul cambiamento; non le restava più niente dei caratteri di una lotta tra la conservazione e il cambiamento. Noi stessi eravamo, più d'ogni altro, i fautori del cambiamento, in un tempo che cambia. I proprietari della società erano costretti, per mantenersi tali, a volere un cambiamento che era il contrario del nostro.
Guy Debord, 1978ii


Questa storia si propone di dare delle prove dell'avanguardia come necessità moderna, nello scontro che è sul cambiamento, in cui nessun valore umano può essere conservato tal quale, ma deve essere portato oltre la falsificazione che lo dà come eternamente presente (nella nostra psiche, nell'ambiente, nella società) perché non venga eliminato per sempre ma possa diventare una nuova realtà. Perciò come tentativo di superare la finzione di eternità dei "valori ideali della cultura", per ricercarne un cambiamento che realizzi nel proprio tempo quelle esigenze, come la libertà di ricerca creativa, di cui l'arte conserva il nome mentre falsifica la cosa. Un'avanguardia che, proprio perché si pone come momento distruttivo di ogni pseudo-continuità della storia (la si chiami progresso o decadenza), ne estrae e rilancia l'eredità di chi in passato ha affrontato problemi attuali.

Questa storia ha lo stesso rapporto col passato, perciò deve essere necessariamente parziale e diversa da una cronaca dei movimenti o da un catalogo delle opere: perché le teorie e le forme di organizzazione non sono state il punto di partenza dell'avanguardia, né le opere il punto d'arrivo, piuttosto delle ipotesi necessariamente parziali con cui lottare per il cambiamento desiderato, da oltrepassare dopo averle messe alla prova. Perciò sono documentati gli scritti e i fatti dei singoli e i rapporti tra loro, al di là delle etichette; senza soffermarsi sulle confezioni storico-critiche che li vogliono liquidare entro ideologie sorpassate, provocazioni recuperate, e separano le opere "eterne".

Molte delle tecniche e perfino delle ipotesi di ricerca che l'avanguardia ha messo in gioco, nel proprio tempo, per il cambiamento, sono state recuperate in seguito, e non soltanto dagli artisti, come rilevavano i situazionisti nel 1958: «Le manifestazioni di novità nelle discipline che progrediscono effettivamente assumono un'apparenza surrealista»iii Ma «nella distorsione di un testo c'è qualcosa di analogo a un omicidio. La difficoltà non consiste nella perpetrazione dell'atto, ma nell'eliminazione delle tracce. ...Questo è il motivo per cui, in numerosi casi di ablazione del testo, possiamo ritenere di dover trovare nascosto da qualche parte, benché modificato e strappato dal suo contesto... ciò che è stato negato. Ma non sempre è facile riconoscerlo» (Sigmund Freud)iv

Un presupposto per ricercare l'avanguardia che è attuale, dopo il suo recupero sotto diverse specie, sta senz'altro nell'«impiegare il termine "avanguardia" al singolare e privo degli aggettivi "artistica" o "storica" che solitamente l'accompagnano. Infatti se... si individua nell'avanguardia quell'insieme di individui che svolgono ricerca e i fatti che la rappresentano, ogni ulteriore aggiunta appare inutile o peggio scorretta lasciando intendere, a seconda delle esigenze, o la presenza simultanea di diverse avanguardie "settoriali" (scientifiche, artistiche, letterarie, ...) o antagoniste (futuristi, cubisti, dadaisti, ...), o distanti nel tempo, ma ordinate in una rigida successione temporale. Tale abitudine, così come l'impiego di termini ad essa funzionale, ha per scopo di disattivare il potenziale sovversivo insito nella ricerca pura facilitandone il recupero»v.

Mentre se ci si concentra sullo scontro sul cambiamento, possono emergere tracce di quella ricerca che ha superato ogni separazione tra avanguardie "negative" e "costruttive", "artistiche" e "politiche", lasciando queste categorie agli specialisti interessati ad occupare ruoli sociali stabiliti, i quali cercano perciò di specializzare i movimenti sia da dentro che oltre il loro tempo.


Ipotesi della ricerca


Questa storia fatta di prove dell'avanguardia è nata dall'«aver conosciuto, fino ad oggi, la ricerca eventualista come una risposta non ideologica all'esigenza radicale di verificare quale creatività umana possa esistere, nelle condizioni-limite in cui essa si trova»vi. Qui non si daranno delle prove per l'attualità di chi opera nel presente, e senza ipotecarsi un valore storico a priori; ma tra le ipotesi da dichiarare c'è senz'altro la definizione di ricerca che è stata data da Sergio Lombardo: «Per "ricerca" intendo un processo sperimentale puro, in cui l'oggetto cercato non è conosciuto, ma è conosciuto soltanto lo stimolo a conoscere. Infatti noi "cerchiamo" qualcosa nota che non abbiamo disponibile o che abbiamo perso, ma di cui conosciamo perfettamente l'uso o la funzione, mentre "ricerchiamo" qualcosa ignota, che magari è proprio davanti a noi, ma che non sappiamo usare e che perciò non riusciamo a vedere, di cui al massimo supponiamo l'esistenza attraverso un processo mentale astratto. Quando cerchiamo qualcosa, mettiamo in atto un processo selettivo, il cui scopo è quello di conservare e riprodurre le condizioni vitali di un sistema preesistente, senza che nuove informazioni posano intervenire a mettere in dubbio la struttura e la funzione di questo sistema, anzi ignorando accuratamente qualsiasi elemento che non rientri nel programma. (…) Ma in questo caso [quando noi ricerchiamo] la nostra condizione percettiva è opposta a quella di chi cerca: essendo l'oggetto della ricerca ignoto, non possiamo evitare di prendere in considerazione gli eventi imprevedibili, indecifrabili, non utilizzabili, ma dobbiamo considerarli anche a rischio di modificare la nostra struttura»vii

Una ricerca simile mette a rischio le nostre strutture di valori per aprire altre possibilità al cambiamento, e può considerare come ipotesi nuove anche delle esperienze che sono rimaste indecifrate - perciò banalizzate e archiviate -, per metterne alla prova una realizzazione attuale. Come quando Roberto Galeotti ritrova nell'avanguardia russa primo '900 delle tracce di quelle possibilità del montaggio che il cinema e l'arte hanno rimosso: «Le notizie pervenuteci sul cosiddetto effetto-Kuleshov sono frammentarie e per alcuni versi contraddittorie. …Ora, com'è noto, la maggior parte delle fonti pongono grossa enfasi sulla "scoperta" che due pezzi qualsiasi di pellicola montati insieme e proiettati formavano un'unità stilistica e contenutistica coerente. …L'identità cinema-racconto sortirà l'effetto di chiudere alcune delle possibilità linguistiche ed espressive allora ancora praticabili dal cinema». Invece l'esperienza di Kuleshov risulta consistere nella «indagine sperimentale delle risposte emotive del pubblico sottoposto a stimolazioni "indifferenti"»: «allo scopo di misurarne il potenziale estetico attuale, alcuni stimoli costruiti impiegando un metodo "alla Kuleshov", cioè giustapponendo due immagini prelevate da contesti eterogenei e, nei limiti del possibile, prive di caratteristiche estetiche riconoscibili, verranno considerati alla luce di... giudizio estetico e spettro evocativo delle risposte.»viii Per verificare se, anziché tradurre dei contenuti preesistenti in immagini e nel loro montaggio, si può generare da un montaggio di materiali indifferenti un contenuto imprevisto e singolare per ognuno: così sottraendo autore e interpreti al solito compito di dare forma alle idee, o riconoscere quelle e la loro estetica.

In queste ipotesi d'avanguardia rientra dunque la ricerca della spontaneità, considerando che «l'espressione spontanea non è un evento che sfugge totalmente a qualsiasi approccio scettico, anzi, si può dire che essa si manifesta in modo non grezzo e confuso, solamente (…) in seguito a un progetto sperimentale che escluda la "finzione di spontaneità"»ix


Limiti dichiarati


Costruire dalla storia un'ipotesi di attualità dell'avanguardia rispetto a quel che è già stato rimosso o recuperato, è un'impresa necessariamente parziale: come ricerca di quello che è stato falsificato attraverso le tracce lasciate dall'operazione, quindi limitata a quei fili della trama che si è arrivati a districare, e per l'imprevedibilità degli incontri nel proprio percorso individuale. Ma soprattutto come scommessa su quel che potrebbe agire adesso nello scontro sul cambiamento, che chiama al confronto con altre ipotesi in questo senso, e però può dar conto delle proprie ragioni.

Così la presenza dei cosiddetti "astrattisti" Mondrian e Malevic con i loro testi, proviene dall'urgenza di ridare loro la parola contro il consumo separato delle loro immagini, che oramai ci impedisce di vederle. Van Doesburg, che avrebbe dovuto dipendere dalla stessa ideologia, risulta essere stato quello che ha volto in derisione, con gli amici dadaisti, il congresso promotore di una "ideologia dell'organizzazione" da offrire al progresso tecnico-sociale; e condivide una dialettica cosciente dell'avanguardia rispetto alla necessità del cambiamento: ma quale?, con Raul Hausmann, dada oltre la fine di Dada da lui stesso dichiarata, e con Kurt Schwitters, che il movimento dadaista aveva rifiutato di ammettere tra i suoi membri.

Tutti questi hanno pensato bene di scrivere, oltreché operare, perché altri non parlassero per loro allora e in seguito: ma non si trova più in commercio quasi nulla di quel che è stato tradotto in italiano, e nelle pubblicazioni recenti prevalgono i cataloghi e i commenti – cosicché la ricerca delle fonti diventa il primo passo, sintomatico, verso le tracce dell'avanguardia. Questo vale ancor più per Viktor Sklovskji, futurista fuori dai ranghi di ogni specializzazione o funzione socio-politica dell'arte, che è stato ridotto a "formalista" precursore dello strutturalismo: quando ha liberato le parole e le immagini dagli automatismi dell'uso, e ha dovuto ricorrere alla "mossa del cavallo" rispetto alla programmazione sociale dei bolscevichi, dato che come l'arte «il cavallo non è libero, si muove di fianco, perché la via diretta gli è preclusa»x

Contro ogni intenzione mancano interventi dei futuristi italiani: per l'onere che si è assunto Marinetti di organizzare e parlare a nome del movimento, chi è andato più lontano con le opere, come Balla, meno ha dichiarato, e molto non lo ha neanche esposto. Quel che di meglio i futuristi hanno preteso per l'arte - non rappresentare o decorare la vita "industriale", ma sperimentare la nuova sensibilità possibile, per agire in questo cambiamento - non prosegue col perpetuarsi del movimento nel "secondo futurismo" aspirante ad arte di stato. Ma la rottura dello spazio magico dell'arte che hanno arrischiato con le "serate" ha rimesso in gioco i valori assegnati da stato e mercato ai prodotti culturali, per verificarli nella realtà del rapporto col pubblico: un'esigenza che poi Sergio Lombardo rilancia, portandola fuori dalle finzioni spettacolari della spontaneità.

Che non ci sia un surrealista in questa storia, è il limite più contingente che sarebbe da superare. La difficoltà dipende pure da quello che è stato un loro merito, ricercare una spontaneità creativa negli atti della vita: la migliore poesia l'hanno quindi bruciata nell'agire, e ci arriva solo in testimonianze e opere più rare di quel che si è depositato in tecniche "creative", celebrate e riciclate. Però Debord e Jorn rilanciano le aspirazioni dei surrealisti proprio mentre mettono in chiaro la necessità di andare oltre: perché un limite di Breton è di non aver sciolto il movimento quando aveva fatto il suo tempo, e dirigendolo ancora, ha rigettato all'esterno le esigenze di cambiamento.

I situazionisti, dichiarandosi eredi delle esigenze poste dall'avanguardia che li ha preceduti, hanno cercato più di tutti di realizzarle altrimenti: l'arte come attività separata avendo fallito tanto quanto la politica come attività separata, né filosofia né psicoanalisi bastando a cambiare il mondo. Ciò non toglie che adesso si recuperino dei mezzi situazionisticiper le professioni da loro rifiutate: ma proprio sciogliendo il movimento hanno lasciato le tracce del loro fine, la vera vita che hanno ricercato oltre ogni etichetta; e l'aver fatto in modo che la loro esperienza della storia fosse pronta ad agire anche nel futuro, documentandola nello stile della dialettica (Guy Debord) in testi che non sono ancora stati fatti sparirexi, permette di rimandare direttamente alla lettura, dando solo, proprio con l'artista Asger Jorn, qualche prova di cosa possa essere un'avanguardia; ma non un modello.

i Benjamin, W. (1937), Eduard Fuchs, il collezionista e lo storico, in L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi, Torino 1966, pp. 92-93.

ii Debord, G. (1978), In girum imus nocte et consumimur igni (Simar Film), in Œuvres cinématographiques complètes, Champ Libre, Paris 1978, Gallimard, Paris 1994, pp. 278-279.

iii I.S., Amara vittoria del surrealismo, n. 1, giugno 1958, in Internazionale situazionista, Nautilus, Torino 1994, p.3.

iv Freud, S. (1934-38), L'uomo Mosé e la religione monoteista, citato proprio a proposito della ricerca storica in M. Tafuri, La sfera e il labirinto, Einaudi, Torino 1980, p. 13.

v Galeotti, R., Il gioco e le tracce, in "Invarianti", NS, XI, 32, 1998, p. 27.

vi Ferraris, P., Psicologia e arte dell'evento. Storia eventualista 1977-2003, Gangemi, Roma 2004, p.18.

vii Lombardo, S. (1975), Arte e ricerca, in L'avanguardia difficile, Lithos, Roma 2004, pp. 12-13.

viii Galeotti, R., La dispersione dello spettro evocativo di uno stimolo visivo composto, in "Rivista di Psicologia dell'Arte", NS, XX, 10, dicembre 1999, pp. 25-44.

ix Lombardo, S., Sulla spontaneità, in "Rivista di Psicologia dell'Arte", IV, 6/7, giugno e dicembre 1982, pp. 141-162.

x Sklovskji, V. (1923), La mossa del cavallo, De Donato, Bari 1967, p. 7.

xi Soprattutto in francese. In italiano si possono leggere: la raccolta della rivista Internazionale situazionista 1958-1969, Nautilus, Torino 1994; G. Debord, La società dello spettacolo (1967) e Commentari sulla società dello spettacolo (1988), Baldini & Castoldi, Milano 1997; Internazionale situazionista, La vera scissione (1972), manifestolibri, Roma 1999; G. Debord, Panegirico, I (1989) e II (1997), Castelvecchi, Roma 2005; G. Debord, Opere cinematografiche (1978), Bompiani, Milano 2004. L'edizione Massari (Bolsena 2002) de La società dello spettacolo invece espunge i Commentari cercando di fagocitarli nell'introduzione di Pasquale Stanziale.