Le prove dell´avanguardia. Paola Ferraris
In breve: soltanto apparentemente la storia della cultura rappresenta un
balzo in avanti nella comprensione, e nemmeno apparentemente un balzo
in avanti nella dialettica. Ciò che le manca è il
momento distruttivo (…). La soluzione di questo problema
rimane riservata a una scienza della storia che non abbia più
come oggetto un groviglio di puri dati di fatto, bensì quel
gruppo definito di fili che rappresenta la trama di un passato
nell'ordito del presente. (…) L'oggetto storico, sottratto
alla pura fatticità, non richiede alcun apprezzamento.
Esso non propone infatti vaghe analogie con l'attualità, bensì
si costituisce nel preciso compito dialettico che l'attualità
è chiamata ad assolvere.
Noi attraversiamo adesso questo paesaggio devastato dalla guerra che una
società fa contro se stessa, contro le proprie possibilità.
(…) La causa più vera della guerra, di cui sono state
date tante spiegazioni fallaci, è ch'essa doveva
inevitabilmente arrivare come uno scontro sul cambiamento; non le
restava più niente dei caratteri di una lotta tra la
conservazione e il cambiamento. Noi stessi eravamo, più d'ogni
altro, i fautori del cambiamento, in un tempo che cambia. I proprietari della società
erano costretti, per mantenersi tali, a volere
un cambiamento che era il contrario del nostro.
Questa storia si propone di dare delle prove dell'avanguardia come necessità
moderna, nello scontro che è sul cambiamento, in cui nessun
valore umano può essere conservato tal quale, ma deve essere
portato oltre la falsificazione che lo dà come eternamente
presente (nella nostra psiche, nell'ambiente, nella società) perché non
venga eliminato per sempre ma possa diventare una nuova realtà. Perciò come
tentativo di superare la finzione di eternità dei "valori
ideali della cultura", per ricercarne un cambiamento che
realizzi nel proprio tempo quelle esigenze, come la libertà di
ricerca creativa, di cui l'arte conserva il nome mentre falsifica la
cosa. Un'avanguardia che, proprio perché si pone come momento
distruttivo di ogni pseudo-continuità della storia (la si
chiami progresso o decadenza), ne estrae e rilancia l'eredità
di chi in passato ha affrontato problemi attuali.
Questa storia ha lo stesso rapporto col passato, perciò deve essere
necessariamente parziale e diversa da una cronaca dei movimenti o da
un catalogo delle opere: perché le teorie e le forme di
organizzazione non sono state il punto di partenza dell'avanguardia,
né le opere il punto d'arrivo, piuttosto delle ipotesi
necessariamente parziali con cui lottare per il cambiamento
desiderato, da oltrepassare dopo averle messe alla prova. Perciò
sono documentati gli scritti e i fatti dei singoli e i rapporti tra
loro, al di là delle etichette; senza soffermarsi sulle
confezioni storico-critiche che li vogliono liquidare entro ideologie
sorpassate, provocazioni recuperate, e separano le opere "eterne".
Molte delle tecniche e perfino delle ipotesi di ricerca che l'avanguardia
ha messo in gioco, nel proprio tempo, per il cambiamento, sono state
recuperate in seguito, e non soltanto dagli artisti, come rilevavano
i situazionisti nel 1958: «Le manifestazioni di novità nelle discipline che progrediscono
effettivamente assumono un'apparenza surrealista»iii
Ma «nella distorsione di un testo c'è qualcosa di analogo a un omicidio.
La difficoltà non consiste nella perpetrazione dell'atto, ma
nell'eliminazione delle tracce. ...Questo è il motivo per cui,
in numerosi casi di ablazione del testo, possiamo ritenere di dover
trovare nascosto da qualche parte, benché modificato e
strappato dal suo contesto... ciò che è stato negato.
Ma non sempre è facile riconoscerlo» (Sigmund Freud)iv
Un presupposto per ricercare l'avanguardia che è attuale, dopo il
suo recupero sotto diverse specie, sta senz'altro nell'«impiegare
il termine "avanguardia" al singolare e privo degli
aggettivi "artistica" o "storica" che
solitamente l'accompagnano. Infatti se... si individua
nell'avanguardia quell'insieme di individui che svolgono ricerca e i
fatti che la rappresentano, ogni ulteriore aggiunta appare
inutile o peggio scorretta lasciando intendere, a seconda delle
esigenze, o la presenza simultanea di diverse avanguardie
"settoriali" (scientifiche, artistiche, letterarie, ...)
o antagoniste (futuristi, cubisti, dadaisti, ...), o distanti nel
tempo, ma ordinate in una rigida successione temporale. Tale
abitudine, così come l'impiego di termini ad essa funzionale,
ha per scopo di disattivare il potenziale sovversivo insito nella
ricerca pura facilitandone il recupero»v.
Mentre se ci si concentra sullo scontro sul cambiamento,
possono emergere tracce di quella ricerca che ha superato ogni
separazione tra avanguardie "negative" e "costruttive",
"artistiche" e "politiche", lasciando queste
categorie agli specialisti interessati ad occupare ruoli sociali
stabiliti, i quali cercano perciò di specializzare i
movimenti sia da dentro che oltre il loro tempo.
Ipotesi della ricerca
Questa storia fatta di prove dell'avanguardia è nata dall'«aver
conosciuto, fino ad oggi, la ricerca eventualista come una risposta
non ideologica all'esigenza radicale di verificare quale creatività
umana possa esistere, nelle condizioni-limite in cui essa si trova»vi.
Qui non si daranno delle prove per l'attualità di chi opera
nel presente, e senza ipotecarsi un valore storico a
priori; ma tra le ipotesi da dichiarare c'è senz'altro la
definizione di ricerca che è stata data da Sergio Lombardo:
«Per "ricerca" intendo un processo sperimentale
puro, in cui l'oggetto cercato non è conosciuto, ma è
conosciuto soltanto lo stimolo a conoscere. Infatti noi "cerchiamo"
qualcosa nota che non abbiamo disponibile o che abbiamo perso, ma di
cui conosciamo perfettamente l'uso o la funzione, mentre
"ricerchiamo" qualcosa ignota, che magari è
proprio davanti a noi, ma che non sappiamo usare e che perciò
non riusciamo a vedere, di cui al massimo supponiamo l'esistenza
attraverso un processo mentale astratto. Quando cerchiamo qualcosa,
mettiamo in atto un processo selettivo, il cui scopo è quello
di conservare e riprodurre le condizioni vitali di un sistema
preesistente, senza che nuove informazioni posano intervenire a
mettere in dubbio la struttura e la funzione di questo sistema, anzi
ignorando accuratamente qualsiasi elemento che non rientri nel
programma. (…) Ma in questo caso [quando noi ricerchiamo] la
nostra condizione percettiva è opposta a quella di chi cerca:
essendo l'oggetto della ricerca ignoto, non possiamo evitare di
prendere in considerazione gli eventi imprevedibili, indecifrabili,
non utilizzabili, ma dobbiamo considerarli anche a rischio di
modificare la nostra struttura»vii Una ricerca simile mette a rischio le nostre strutture di valori per
aprire altre possibilità al cambiamento, e può
considerare come ipotesi nuove anche delle esperienze che sono
rimaste indecifrate - perciò banalizzate e archiviate -, per
metterne alla prova una realizzazione attuale.
Come quando Roberto Galeotti ritrova nell'avanguardia russa primo
'900 delle tracce di quelle possibilità del montaggio
che il cinema e l'arte hanno rimosso: «Le
notizie pervenuteci sul cosiddetto effetto-Kuleshov sono frammentarie
e per alcuni versi contraddittorie. …Ora, com'è noto,
la maggior parte delle fonti pongono grossa enfasi sulla "scoperta"
che due pezzi qualsiasi di pellicola montati insieme e proiettati
formavano un'unità stilistica e contenutistica coerente.
…L'identità cinema-racconto sortirà l'effetto di
chiudere alcune delle possibilità linguistiche ed espressive allora ancora
praticabili dal cinema». Invece l'esperienza di Kuleshov
risulta consistere nella «indagine sperimentale delle risposte
emotive del pubblico sottoposto a stimolazioni "indifferenti"»:
«allo scopo di misurarne il potenziale estetico attuale, alcuni
stimoli costruiti impiegando un metodo "alla Kuleshov",
cioè giustapponendo due immagini prelevate da contesti
eterogenei e, nei limiti del possibile, prive di caratteristiche
estetiche riconoscibili, verranno considerati alla luce di...
giudizio estetico e spettro evocativo delle risposte.»viii
Per verificare se, anziché tradurre dei contenuti preesistenti
in immagini e nel loro montaggio, si può generare da un
montaggio di materiali indifferenti
un contenuto imprevisto e singolare per ognuno: così
sottraendo autore e interpreti al solito compito di dare forma alle
idee, o riconoscere quelle e la loro estetica. In queste ipotesi d'avanguardia rientra dunque la ricerca della
spontaneità, considerando che «l'espressione
spontanea non è un evento che sfugge totalmente a qualsiasi
approccio scettico, anzi, si può dire che essa si manifesta in
modo non grezzo e confuso, solamente (…) in seguito a un
progetto sperimentale che escluda la "finzione di
spontaneità"»ix
Limiti dichiarati
Costruire dalla storia
un'ipotesi di attualità dell'avanguardia rispetto a quel che è
già stato rimosso o recuperato, è un'impresa
necessariamente parziale: come ricerca di quello che è stato
falsificato attraverso le tracce lasciate dall'operazione, quindi
limitata a quei fili della trama che si è arrivati a
districare, e per l'imprevedibilità degli incontri nel proprio
percorso individuale. Ma soprattutto come scommessa su quel che
potrebbe agire adesso nello scontro sul cambiamento, che chiama al
confronto con altre ipotesi in questo senso, e però può
dar conto delle proprie ragioni. Così la presenza dei cosiddetti "astrattisti" Mondrian e
Malevic con i loro testi, proviene dall'urgenza di ridare loro la
parola contro il consumo separato delle loro immagini, che oramai ci impedisce di vederle.
Van Doesburg, che avrebbe dovuto dipendere dalla stessa ideologia,
risulta essere stato quello che ha volto in derisione, con gli amici
dadaisti, il congresso promotore di una "ideologia
dell'organizzazione" da offrire al progresso tecnico-sociale; e
condivide una dialettica cosciente dell'avanguardia rispetto alla
necessità del cambiamento: ma quale?,
con Raul Hausmann, dada oltre la fine di Dada da lui stesso
dichiarata, e con Kurt Schwitters, che il movimento dadaista aveva
rifiutato di ammettere tra i suoi membri. Tutti questi hanno pensato bene di scrivere, oltreché operare,
perché altri non parlassero per loro allora e in seguito: ma
non si trova più in commercio quasi nulla di quel che è
stato tradotto in italiano, e nelle pubblicazioni recenti prevalgono
i cataloghi e i commenti – cosicché la ricerca delle
fonti diventa il primo passo, sintomatico, verso le tracce
dell'avanguardia. Questo vale ancor più per Viktor Sklovskji,
futurista fuori dai ranghi di ogni specializzazione o funzione
socio-politica dell'arte, che è stato ridotto a "formalista"
precursore dello strutturalismo: quando ha liberato le parole e le
immagini dagli automatismi dell'uso, e ha dovuto ricorrere alla
"mossa del cavallo" rispetto alla programmazione sociale
dei bolscevichi, dato che come l'arte «il cavallo non è libero, si muove di fianco, perché la via
diretta gli è preclusa»x Contro ogni intenzione mancano interventi dei futuristi italiani: per
l'onere che si è assunto Marinetti di organizzare e parlare a
nome del movimento, chi è andato più lontano con le
opere, come Balla, meno ha dichiarato, e molto non lo ha neanche
esposto. Quel che di meglio i futuristi hanno preteso per l'arte -
non rappresentare o decorare la vita "industriale", ma
sperimentare la nuova sensibilità
possibile, per agire in questo cambiamento - non prosegue col
perpetuarsi del movimento nel "secondo futurismo"
aspirante ad arte di stato. Ma la rottura
dello spazio magico dell'arte che hanno arrischiato con le "serate" ha rimesso in gioco
i valori assegnati da stato e mercato ai prodotti culturali, per
verificarli nella realtà del rapporto col pubblico:
un'esigenza che poi Sergio Lombardo rilancia, portandola fuori dalle
finzioni spettacolari della spontaneità. Che non ci sia un surrealista in questa storia, è il limite più
contingente che sarebbe da superare. La difficoltà dipende
pure da quello che è stato un loro merito, ricercare una
spontaneità creativa negli atti della vita: la migliore poesia
l'hanno quindi bruciata nell'agire, e ci arriva solo in testimonianze
e opere più rare di quel che si è depositato in
tecniche "creative", celebrate e riciclate. Però
Debord e Jorn rilanciano le aspirazioni dei surrealisti proprio
mentre mettono in chiaro la necessità di andare oltre: perché un limite di Breton è di non
aver sciolto il movimento quando aveva fatto il suo tempo,
e dirigendolo ancora, ha rigettato all'esterno le esigenze di cambiamento. I situazionisti, dichiarandosi eredi delle esigenze poste
dall'avanguardia che li ha preceduti, hanno cercato più di
tutti di realizzarle altrimenti: l'arte come attività separata
avendo fallito tanto quanto la politica come attività
separata, né filosofia né psicoanalisi bastando a
cambiare il mondo. Ciò non toglie che adesso si recuperino dei
mezzi situazionisticiper
le professioni da loro rifiutate: ma proprio sciogliendo il movimento
hanno lasciato le tracce del loro fine, la vera vita che hanno
ricercato oltre ogni etichetta; e l'aver fatto in modo che la loro
esperienza della storia fosse pronta ad agire anche nel futuro,
documentandola nello stile della dialettica (Guy
Debord) in testi che non sono ancora stati fatti sparirexi,
permette di rimandare direttamente alla lettura, dando solo, proprio
con l'artista Asger Jorn, qualche prova di cosa possa essere un'avanguardia; ma non un modello. i Benjamin,
W. (1937), Eduard Fuchs, il collezionista e lo storico,
in L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità
tecnica, Einaudi, Torino 1966, pp. 92-93. ii Debord,
G. (1978), In girum imus nocte et consumimur igni
(Simar Film), in Œuvres cinématographiques complètes,
Champ Libre, Paris 1978, Gallimard, Paris 1994, pp. 278-279. iii I.S.,
Amara vittoria del surrealismo, n. 1, giugno 1958, in Internazionale situazionista,
Nautilus, Torino 1994, p.3. iv Freud,
S. (1934-38), L'uomo Mosé e la religione monoteista, citato proprio a proposito della ricerca storica
in M. Tafuri, La sfera e il labirinto, Einaudi, Torino 1980, p. 13. v Galeotti,
R., Il gioco e le tracce, in "Invarianti", NS, XI, 32, 1998, p. 27. vi Ferraris,
P., Psicologia e arte dell'evento. Storia eventualista 1977-2003, Gangemi, Roma 2004, p.18. vii Lombardo,
S. (1975), Arte e ricerca, in L'avanguardia difficile, Lithos, Roma 2004, pp. 12-13. viii Galeotti,
R., La dispersione dello spettro evocativo di uno stimolo visivo composto, in "Rivista di
Psicologia dell'Arte", NS, XX, 10, dicembre 1999, pp. 25-44. ix Lombardo,
S., Sulla spontaneità, in "Rivista di Psicologia dell'Arte", IV, 6/7, giugno e
dicembre 1982, pp. 141-162. x Sklovskji,
V. (1923), La mossa del cavallo, De Donato, Bari 1967, p. 7. xi Soprattutto
in francese. In italiano si possono leggere: la raccolta della rivista Internazionale situazionista 1958-1969,
Nautilus, Torino 1994; G. Debord, La società dello spettacolo (1967) e Commentari
sulla società dello spettacolo (1988), Baldini & Castoldi, Milano 1997; Internazionale situazionista,
La vera scissione (1972),
manifestolibri, Roma 1999; G. Debord, Panegirico,
I (1989) e II (1997), Castelvecchi, Roma 2005; G. Debord, Opere cinematografiche (1978),
Bompiani, Milano 2004. L'edizione Massari (Bolsena 2002) de La società dello spettacolo
invece espunge i Commentari cercando di fagocitarli nell'introduzione di Pasquale Stanziale. |